Evira Serafini segretaria generale Snals – Una nuova sfida attende il mondo della scuola, riuscire a conciliare le indicazioni del DPCM del 4 marzo, che prevede, tra le altre disposizioni, la sospensione delle attività didattiche, con ciò che rappresenta l’insegnamento.
Il COVID19 richiede distanza, l’insegnamento esige relazione, presenza, confronto, dialogo.
Il Governo ha individuato nella sospensione delle attività didattiche l’opportunità di eliminare un possibile canale di contagio, evitando che un numero esponenziale di individui (docenti, alunni, personale ATA) siano contestualmente nello stesso luogo, condividendo aule spesso anguste.
Ma com’è stato percepito tutto ciò dalla società, quali sono state le reazioni, quali le possibili risposte dal mondo della scuola?
Inutile dire che la scuola italiana, ormai da anni sotto il tiro del fuoco incrociato dell’opinione pubblica e dei mass media, sia uscita a pezzi da tale provvedimento.
Le famiglie sono insorte, chiedendosi chi avrebbe badato ai loro figli, la politica ha sollecitato provvedimenti a sostegno delle famiglie per le spese di babysitting o per favorire l’assenza dal lavoro del genitore costretto ad occuparsi dei minori, mentre le organizzazioni sindacali hanno giustamente posto in evidenza la necessità di garantire la sicurezza dei lavoratori e le pari opportunità per tutti gli studenti e i social hanno registrato interventi a cascata, recanti offese, battute sarcastiche e tanto altro sui docenti “in ferie”.
Dal canto loro, le istituzioni scolastiche si sono immediatamente attivate per studiare modalità alternative di didattica, individuando tra le molteplici proposte: Webinar, skype, piattaforme dedicate, weschool, quali potessero essere le ipotesi maggiormente rispondenti alle esigenze della propria platea.
Addirittura esperti ed opinionisti hanno iniziato a sostenere che fosse proprio questa la nuova frontiera dell’insegnamento, presentando la didattica a distanza, come una modalità innovativa, coinvolgente e addirittura maggiormente efficace rispetto a quella in presenza.
Ma davvero stanno così le cose? Forse sarebbe opportuno chiedersi cosa significhi oggi insegnare per i docenti, cosa implichi negli alunni l’apprendimento, in che modo funzioni il complesso mondo della scuola, ma soprattutto cosa esso rappresenti nella nostra società e cosa dovrebbe rappresentare.
Questa nuova sfida, in un periodo difficile per il nostro paese, non può che essere raccolta dal mondo della scuola, che come sempre non esita a mettersi in gioco e in discussione, ma di sicuro non può passare l’idea che la distanza e non la presenza rappresenti l’essenza dell’insegnamento. Il confronto tra il docente e l’alunno e tra gli alunni, le esperienze che si vivono in una classe reale, assolutamente non paragonabile a quella virtuale, le modalità di relazione che si sperimentano giornalmente nella realtà scolastica, non si possono riprodurre attraverso un pc o un tablet.
Come si può anche solo ipotizzare che sia sufficiente caricare dei contenuti su una piattaforma o registrare una lezione o ancora interrogare a distanza, per assolvere e conseguire le finalità dell’insegnamento? È davvero questa l’idea che si ha dell’attività didattica?
Di sicuro l’utilizzo della tecnologia, nell’ambito dell’azione educativa, rappresenta un importante arricchimento dell’offerta formativa, ma presenta dei limiti oggettivi, che non vanno sottovalutati. Offre in una situazione come quella attuale, in cui i docenti non hanno alcuna possibilità di incontrare i propri alunni, una possibile risposta all’esigenza di non interrompere il dialogo educativo, ma non è la soluzione. Intanto, perché non consente l’interazione tra tutti contestualmente, ma anche perché non bisogna dimenticare che non tutte le scuole sono dotate di strumentazioni idonee a rispondere a tale esigenza e, ancora, soprattutto quando si opera in contesti deprivati, che non tutti gli alunni dispongono di attrezzature tecnologiche o di connessione a internet. Puntare solo sulla tecnologia per l’insegnamento, non solo disconosce l’importanza del confronto diretto, della relazione positiva, del rapporto empatico, ma pone in essere possibili forme di emarginazione proprio dei soggetti più deboli e maggiormente bisognosi di interventi formativi.
La scuola non può e non dev’essere il luogo delle sperequazioni sociali, ciò la porterebbe a tradire la sua ragion d’essere e la sua mission, che consistono nell’offrire a tutti pari opportunità.
Tuttavia, l’emergenza impone soluzioni possibili ed essendo prioritario evitare i contatti interpersonali, non resta altra strada percorribile se non la didattica a distanza, anche nell’ottica di salvaguardare il diritto allo studio degli alunni e mantenere costante, seppur con modalità diverse, il rapporto docente/alunno.
Chiaramente, oltre a tutelare i diritti degli alunni, va salvaguardato il principio della libertà di insegnamento, nella consapevolezza che i docenti avranno modo di individuare, anche in considerazione delle specifiche esigenze dei propri alunni, le più opportune modalità di confronto con loro.
È evidente che la scuola, saprà affrontare con determinazione e abnegazione questo momento delicato, anche grazie all’impegno silenzioso ma costante e di imprescindibile importanza di tutto il personale, anche non docente. I collaboratori scolastici e il personale tecnico-amministrativo, raramente menzionati, in questo delicato periodo continuano a garantire i servizi generali di pulizia e vigilanza e a far funzionare la macchina amministrativa di ogni istituzione scolastica, assistono e supportano docenti, alunni e famiglie, restando operativi e collaborativi per far fronte a tutte le esigenze del complesso mondo delle istituzioni formative, indipendentemente dalla sospensione delle attività didattiche.
Tutte queste considerazioni mostrano, una volta di più, quanto sia prezioso il lavoro che quotidianamente si compie nel mondo della formazione.
Tuttavia, un’ultima considerazione è importante. Spesso ci accorgiamo di quanto sia fondamentale qualcosa, quando ciò che davamo per scontato sentiamo di essere sul punto di perderla. Magari quest’assenza forzata potrà far nascere una nuova consapevolezza negli alunni, aiutandoli a comprendere quanto sia prezioso e unico ogni momento trascorso a scuola: l’incontro con i compagni, il confronto tra punti di vista differenti, la possibilità di conoscere ogni giorno qualcosa di nuovo e di sperimentare le proprie capacità.
I docenti, che spesso si lamentano per la vivacità dei propri alunni, per l’irrequietezza, per l’incapacità di adeguarsi alle regole, verificheranno quanto sia importante, per dare valore e senso alla loro azione, scorgere dietro quegli sguardi vivaci e irrequieti la scintilla che si accende quando si è riusciti a toccare il tasto giusto, a lasciare una traccia, a provocare un’emozione.
Le famiglie potranno scoprire che la scuola non è soltanto un luogo dove lasciare in custodia i propri figli, ma una comunità di cui anch’esse fanno parte e potranno comprendere quanto sia prezioso il dialogo educativo che insieme, scuola e famiglia, devono mantenere vivo, nell’ottica della collaborazione e della corresponsabilità, finalizzate alla formazione della società del futuro.